Il saluto dei bambini

Buongiorno, ciao, salve

Negozio di telefoni cellulari. Uno dei preferiti. Auricolari, cavetti per l’alimentazione, cover coloratissime. “Buon giorno, ciao piccoli”.  Nessun saluto dei bambini. “Che bella maglia di Star Wars, hai. Con questa immagine la vorrei pure io”.

 

Approccio cortese del negoziante. Nessuna risposta. Gemelli, fratello e sorella, in silenzio e nessun saluto. Perché quando si incontra qualcuno che sia dentro un  negozio, uno studio medico, la panetteria o il bar sotto casa, il saluto non viene proprio spontaneo.  Agli adulti e, a volte, anche ai coetanei. A meno che gli appartenenti a queste due categorie non siano persone molto, molto conosciute. Timidezza? Carattere introverso? Timore dell’altro mai visto? Tutto e niente di ciò allo stesso tempo.

Il saluto dei bambini si esprime anche con un sorriso

Lamica V, psicomotricista, che della felicità dei bambini ha fatto una ragione di vita,  fa il punto. “È normale. E non vuol dire che i bambini in casa non hanno imparato la buona educazione. Basta guardarli. È nel loro comportamento che si riesce a scorgere il saluto:  un’occhiata, un sorriso, uno sguardo di complicità.

 

L’importante è non farlo notare, soprattutto di fronte a chi si incontra. Da evitare, insomma le frasi come “Dai, dì buon giorno a questo signore”, oppure “Non saluti mai”, o, ancora, “E’ timido, eppure glielo dico sempre che deve salutare”.   “Gli adulti danno troppa importanza al saluto dei bambini fin da piccolissimi, inibendo spesso la spontaneità”, continua V. “È bene non richiedere una prestazione, ma piuttosto trasferire l’idea di che cosa è  il saluto. E, in un incontro in presenza dei bambini, si può dire buon giorno con un sorriso, facendo sentire che è anche da parte loro”.

Sì, ne sono convinta anch’io. Però, in fondo, ci tengo e non credo che la cortesia  del saluto sia una forma vuota che fa parte del vecchiume educativo. Così  decido  di ricordarlo lo stesso a tutt’e due, fratello e sorella, tra una chiacchiera e l’altra, sperando che ascoltino o non dimentichino.  

Eccoci dalla premurosa dentista che cura da più di un anno denti e sorrisi. “Ciao ragazzi, smack, bacio”. La bambina, occhi bassi, sorride ma non parla, mormora solo  qualche parola a voce bassissima. Il bambino, gemello e fratello,  invece preferisce una strada antica ma sicura, in bilico tra il formale e l’anacronistico, “Ehm, salve”. “Ma dai amore”, sussurro sottovoce mentre la dentista risponde al telefono.  “Salve è un saluto un po’ distaccato, in fondo vi conoscete da tempo”. “Ma non mi avevi detto che salve va bene con tutti?”Già, è vero. L’avevo detto. E allora mi adeguo. “Salve dottoressa, ci vediamo tra un mese”.   

 

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